La Gavazzi: una comica, una filosofa
Il video che ho condiviso l’altro giorno sulle dive e «l’usanza della voce di petto» si conclude con lo scambio tra Zucker e Carla Gavazzi. Al di là della questione “voce di petto”, lo trovo entusiasmante. I tempi, la ripetizione quasi infinita di una gag che non stanca, la reazione perfetta e inconsapevole dell’intervistatore-spalla, l’uso delle parole, dei gesti sono tutti elementi che ne fanno un piccolo e involontario sketch comico.
L’appellativo che utilizza — “ignoranti” — non è offensivo, ma appropriato. Le succitate dive ignorano cosa si intenda con “voce di petto”, dando all’espressione un significato inadeguato.
L’intervista continua e supera la questione “voce di petto”. La Gavazzi, oltre ad essere stata una comica naturale, era anche una donna intelligente. Poco curante della domanda — generica e poco chiara — dell’apollineo Zucker («Quali sono i diversi aspetti del canto espressivo?»), la Gavazzi si mette a parlare di quello che ritiene l’aspetto fondamentale del canto, inteso non come tecnica ma come espressione:
Penso che la domanda di Zucker possa essere intesa così: mettendo da parte gli aspetti tecnici, cosa fa di un canto un bel canto, un canto carico di espressività? Zucker vuole che si dica a parole ciò che le parole non possono esprimere. Si può chiedere a un pittore come rendere al meglio una prospettiva, come usare efficacemente la tempera, come migliorare il chiaroscuro etc., ossia gli si possono fare domande relative alla tecnica. Ma come si fa a domandare dello stile? Come si fa a dire cosa rende Matisse, Matisse o Van Gogh, Van Gogh? Non si può. Si travalica il limite del dicibile e si cade nell’immenso regno sul cui limitare è scritta la settima asserzione del Tractatus logicus-philosophicus («Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.»).
Del canto si possono dire gli aspetti tecnici (“come farsi sentire?”, “come avere un timbro omogeneo in tutta la gamma?”, “come essere intonati?”, “come allungare i fiati?” etc.), non gli aspetti espressivi. E la Gavazzi — di fronte a una domanda impossibile — dà l’unica risposta intelligente possibile. Il canto espressivo lo dà la misura e la misura nasce da una cultura. Vuol dire tutto e niente, ma non c’è altra risposta.
Per natura, ovviamente, non si deve intendere un qualcosa di innato, ma una forma particolare di cultura, ossia una cultura non consapevolmente ricercata e appresa, ma acquisita senza consapevolezza. Ciascuno di noi ha un modo di camminare, di parlare, di gesticolare che lo caratterizza ma che, tendenzialmente, non ha appreso e ricercato consapevolmente e, nemmeno, aveva già appena uscito dal grembo materno: si è andato formando nell’inconsapevolezza.
L’espressività, lo stile vengono con la cultura e la cultura si genera con lo studio, ossia con l’applicazione costante, con l’indagine continua intorno a una materia.