L’ “usanza” della voce di petto
C’è un documentario che è noto a tutti i melomani. Si tratta di Opera fanatic (1999), diretto da Jan Schmidt-Garre. Guidato da Stefan Zucker, il cui cognome prelude alla sua voce zuccherina, lo spettatore viene condotto nelle case di alcune celebri dive degli anni Cinquanta. Il viaggio offre un repertorio di caratteri e situazioni (dall’esuberante Barbieri, all’incontentabile Pobbe, alla deliziosa e irresistibile Gavazzi, passando per l’imbalsamata Adami Corradetti). Le dive fanno le dive e la conversazione raramente travalica i confini del ricordo personale e dell’autocelebrazione.
C’è tuttavia una questione di tecnica vocale cara a Zucker, il quale la ripropone più volte. Si tratta (parole sue) dell’«usanza della voce di petto» (espressione che non riesco a leggere nella mente se non in falsetto e con accento americano tendente al tedesco). Ecco alcune risposte:
Queste prime tre signore sembrano condividere un’idea simile di “voce di petto”. La Pobbe — pur facendo riferimento a delle non meglio identificate cantanti ottocentesche che avevano studiato in una chiave di petto — si professa socratica e ammette di non sapere. La Simionato e la Barbieri, invece, intendono l’espressione “voce di petto” in senso letterale, ossia come di una voce che sta nel petto, opposta alla voce in maschera. Gli esempi che fanno sono abbastanza significativi e, come direbbe la Simionato, sfido chiunque ad approvare la voce di petto, se è così come loro la intendono.
Poi arriva quel genio della Gencer…
Qui sorge un problema. O la Gencer considera buona un’emissione ritenuta errata dalle altre oppure — e questo è il mio parere — intende per “voce di petto” qualcosa di diverso da quello che intendono loro.
Il principio fondamentale del fare scienza, ossia della ricerca che distingue il vero dal falso, è il principio di non contraddizione: «È impossibile che lo stesso attributo appartenga e non appartenga allo stesso soggetto nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto».¹ Ciò significa che un discorso che vuole affermare qualcosa deve necessariamente tenere fermo il proprio oggetto. Se ci domandiamo “è giusto usare la voce di petto?” e non abbiamo prima stabilito con certezza cosa si intende con voce di petto, allora non può darsi conoscenza, non può darsi una risposta unica e definitiva. 5+7 fa 12, non c’è alcun dubbio. Ma se io intendo il 7 come 6, allora 5+7 fa 11. E avrei ragione. Se il ragionamento conduce a risposte contraddittorie, significa che o il ragionamento è condotto in maniera errata o gli elementi del ragionamento non sono definiti chiaramente.
Dunque, le quattro signore intervistate possono avere tutte ragione, perché intendono diversamente l’oggetto della domanda. La Gencer dice che la Barbieri è una grande cantante e (non “ma”) che fa ampio uso della voce di petto. È chiaro che intende la voce di petto come un tipo di emissione corretto e non scorretto, come invece lo intende la Barbieri («no gut!»).
¹ Aristotele, Metafisica, p. 137 (IV (Gamma), 1005b 19-20).