Le piacciono le tonicizzazioni del II grado?
Vorrei considerare una sola frase contenuta nel Cratilo che, praticamente, è una definizione del concetto di “nome”.
Il nome serve a compiere un taglio sulla realtà, ossia a cogliere la molteplicità del reale e a comunicarla. Se io dico “sasso”, con questo nome intendo distinguere da quel particolare oggetto ciò che quell’oggetto non è e, al contempo, cogliere un’essenza di quell’oggetto, il che mi permette di capire che gli infiniti sassi che popolano la realtà, benché tra loro diversi, sono tutti dei sassi. Infine, mi consente di comunicare: se io dico “sedia” e tu con il termine “sedia” intendi l’oggetto “cactus”… Beh, allora è meglio stare in piedi.
La realtà è immensa e i tagli che possiamo compiere sono infiniti: i nomi sono infiniti. Ma l’uomo coglie la realtà non nella sua totalità amorfa, ma già articolata, ossia dando rilievo a certe sue parti anziché ad altre: la realtà si manifesta unicamente attraverso dei tagli. Per cui una casa si manifesta con più immediatezza del singolo mattone, un fiore del singolo petalo.
Di conseguenza anche i nomi riflettono questa essenziale “attività articolatoria” umana. Ci sono nomi comuni e nomi, che potremmo dire, tecnici. Tutti sanno cosa intendere con “sedia”, “albero” o “sole” (che tutti intendiamo questi termini nello stesso modo è altra cosa; ma non indaghiamo), pochi conoscono il significato di “pellanda”, “guarnacca” o “capperone”, a meno che non ci si interessi alla moda tardo medievale.
Lo stesso discorso vale per i termini musicali. Espressioni come “settima di dominante”, “ritardo della quarta”, “cadenza d’inganno” e termini come “tonicizzazione”, “agogica” sono chiaramente estranei al parlar comune e a nessuno verrebbe in mente di usarli per fare la spesa o durante un’assemblea condominiale. Tuttavia, parlando di musica, essi non sono solo possibili, ma necessari. Come parlare di una certa materia se non si conoscono i termini propri di quella materia? La mancanza del linguaggio rivela una visione opaca della realtà. Se volessimo parlare di un brano musicale senza conoscere i termini che servono a descriverlo, la nostra conversazione sarebbe più o meno così: “in quel punto del coso, in cui succede quella cosa, mi ha fatto tornare in mente quella roba che abbiamo sentito nella cosa di quell’altro tizio”. Tanto varrebbe non parlare…
Eppure capita spesso di sentire parlare di musica (o, almeno, pretendere di farlo) persone, che, di fronte ai termini necessari per parlarne con discernimento, le dileguano dicendo “ma quelli sono tecnicismi!”, “cose per addetti ai lavori”.
A ben vedere i termini sono sempre termini tecnici (se nel tuo paese ci si siede solo per terra, la parola “sedia” ti risulterà tanto misteriosa come per me, che nulla so di macchinari agricoli, la parola “stegola”). Conoscere le parole significa avere degli strumenti per articolare la realtà e articolare la realtà è l’unico modo che abbiamo per conoscerla.